Riforma PA: al netto di cosa?

Fonte: L'Unita'

Il Ministero della Funzione Pubblica ha reso noto il report della petizione proposta dal Governo Renzi sui 44 punti per una riforma della P.A.
Dopo aver letto attentamente i risultati e al di la del merito (sui 44 punti esistono risposte e proposte ulteriori del sindacato confederale – vedi sito unitario  ), urge una riflessione compiuta sul metodo scelto e sul “valore” che il Governo intende annettere a questa consultazione.
I numeri sono chiari, inequivocabili: più o meno l’1%  dell’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori pubblici ha inviato le sue osservazioni al Governo; di quell’1% circa un terzo ha deciso di ricordare al Presidente Renzi e alla Ministra Madia che il primo punto nell’agenda dell’Esecutivo deve essere il rinnovo dei contratti di lavoro scaduti da cinque anni.
E allora, se questo è l’esito finale di quella consultazione, a mio giudizio il Governo è di fronte ad un bivio: continuare ad affermare il valore statistico, anche  in termini di rappresentatività, delle 39.000 mail, o viceversa prendere atto che la consultazione, sulla quale ha ripetutamente fatto leva nei giorni scorsi, se non una vera e propria debacle, è stata una scelta che lascia insoddisfatte le aspettative ingenerate.
Nella prima ipotesi, quella cioè di una petizione “rappresentativa” di un sentimento  e di una volontà collettiva (una tesi che avrebbe bisogno di una qualche argomentazione in più di quelle oggi presentate nel report), la Ministra e il Presidente dovrebbero comunque prendere atto che un lavoratore  su tre chiede altro: vuole il contratto di lavoro. 
Nella seconda ipotesi, quella cioè di un consapevole ridimensionamento dell’obiettivo posto alla base di quella consultazione, la tesi precostituita sull’inutilità di un intermediazione collettiva nella relazione con il mondo del lavoro pubblico, cade rovinosamente.
Scelga il Governo in tutta autonomia, ma in fretta,  dove vuole posizionarsi rispetto a questa consultazione, perché delle due l’una: o è (e in quel caso è per intero, non “al netto delle 13.000 mail che chiedono il contratto”) o semplicemente non è (tornando, per questa via, a riconoscere il ruolo della rappresentanza sociale).
E, visto che di numeri stiamo parlando, non sarebbe male che la Ministra Madia, responsabile del Dipartimento della Funzione Pubblica, facesse pubblicare, accanto a quel report, anche i dati sulla rappresentatività sindacale nel pubblico impiego.
Il Governo ed i sostenitori della cd. democrazia “diretta”, quella senza intermediazione alcuna, si accorgerebbero che i numeri degli associati e di quelli che votano il sindacato confederale nei rinnovi delle Rappresentanze Sindacali Unitarie raccontano un’altra storia: descrivono semplicemente un diverso modo di voler contare, di essere partecipi della propria vita, tanto sociale che lavorativa.
Così come Costituzione recita.

 Rossana Dettori Segretaria Generale Fp Cgil

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