Pubblica amministrazione, più poteri al premier Non temiamo le lobby

Fonte: Corriere della sera

Uno Stato più semplice e nessuna paura di dare maggiori poteri a chi si assume la responsabilità di guidarlo. Angelo Rughetti, sottosegretario alla Pubblica amministrazione, difende la riforma della Pubblica amministrazione dalle accuse di chi vi vede un’eccessiva verticalizzazione del potere. E alle lobby, alle minoranze interne e ai sindacati in ebollizione, manda a dire: «Il 41% del Paese ci ha detto che il nostro è il verso giusto». Sottosegretario, il decreto P.a. appena arrivato in Parlamento è stato sommerso da 1.700 emendamenti. «Le lobby fanno il loro mestiere, il nostro è quello di non prendere scorciatoie. Il decreto contiene già numerose mediazioni sui punti “caldi”, per noi conta non perdere di vista l’obiettivo della “staffetta generazionale”. Abbiamo un numero di dipendenti in linea con l’Ocse ma un numero di dirigenti superiore e con età maggiore. La risposta sta qua». La fronda viene anche dalla minoranza interna e dal sindacato. «La riforma della P.a. più di tutte evidenzia il modo nuovo in cui il governo Renzi interpreta la sinistra del Paese: niente statalismo, nessun ammiccamento all’elettorato di riferimento o al sindacato. Siamo laici». Si dice che lo sarete anche sull’articolo 18, cancellandolo. «L’articolo 18 è un totem per chi viene dagli anni 70-80, quando bisognava difendere una parte debole da una forte. L’abolizione non è una nostra priorità. Dopodiché quando vedo un decreto, quello Poletti, che nella vertenza Electrolux riesce a mantenere posti di lavoro, penso che la nostra sia la direzione giusta». Nel disegno di legge delega si parla di un maggiore potere del premier nel definire l’organizzazione dei vari ministeri. «Sì, ma non c’è un conflitto con i ministri, la delega è passata dal consiglio. L’idea di fondo è che non esiste un ministero che si organizza da solo, per conto suo, ma che la sua struttura sia strumentale al raggiungimento di alcuni obiettivi. E’ lo stesso ragionamento applicato alle Prefetture». Cioè? «Oggi ad Aosta o a Palermo la struttura dello Stato è sempre la stessa senza che ci siano le stesse necessità. Ci sono 107 Prefetture, 107 uffici scolastici, 107 uffici del lavoro, ecc. In questo modo la mobilità dei dipendenti tra le varie amministrazioni è impossibile. La nostra idea è che si è dipendenti della Repubblica momentaneamente incardinati in un ente, domani si cambia. E’ una rivoluzione, o no?». Ci sono resistenze anche qua. «Quello che mi ha colpito quando abbiamo illustrato la riforma ai Prefetti, agli ambasciatori, ai responsabili, è che si preoccupavano di mantenere il proprio ruolo, considerando la nostra idea una specie di attentato. Un errore clamoroso perché i responsabili migliori con il nostro schema verranno finalmente valorizzati». M a le Prefetture si ridurranno a 40? Il ministro Madia non ne è più sicura. «Il numero dipende dall’implementazione della legge sulle Province. In ogni Regione verrà costituito un tavolo con lo Stato e i Comuni che deciderà l’organizzazione migliore». Qualcuno metterà la parola fine a questi tavoli ? «La contrattazione è tra istituzioni con pari dignità, ma alla fine è lo Stato che fa sintesi, assumendosene la responsabilità». Non è uno schema autoritario? «Quando, come esecutivo, si decide di non fare solo l’ordinaria amministrazione che faceva il governo Letta, serve uno scatto in più. E’ autoritario chi decide contro le regole, noi le rispettiamo». E’ sempre prevista nella riforma la riduzione delle spese non inferiore all’1% nei primi cinque anni? «Abbiamo l’obiettivo di un décalage pari a quello che si era dato il governo Monti, ma non con tagli lineari, anche qui prima le scelte strategiche, poi le conseguenze economiche». Ma quale sarà il risparmio? «Ce lo dirà la Ragioneria, ogni anno, a consuntivo». Il commissario Cottarelli voleva risparmiare due miliardi sulla P.a. «Noi stiamo facendo una ristrutturazione della P.a., lui una revisione della spesa pubblica: sono due linee di intervento diverse sulla stessa materia. Possono incrociarsi, oppure no». I dirigenti che sono nel ruolo unico riceveranno l’incarico da una commissione autonoma. Come verrà composta? «Nel ddl la risposta resta aperta. Penso personalmente che se al suo interno vi fossero gli stessi dirigenti non sarebbe male, proprio per rimarcare l’autonomia dalla politica. Certo dentro non ci vedrei i sindacati». Non c’è il rischio che i dirigenti si autoscelgano per «combriccole»? «Oggi c’è una “combriccola” di persone, uso un suo termine, che ha avuto la possibilità di controllare l’amministrazione: giudici della Corte dei conti, consiglieri di Stato che hanno avuto incarichi nei ministeri e hanno tutto il potere. Il nostro è un modo per sconfiggere questa stortura». La retribuzione dei dirigenti sarà legata al Pil? «In parte… In un convento povero non ci saranno più frati ricchi». Quando sarà licenziabile un dirigente? «Non parlerei di licenziamento: dopo 2 anni se non avrà ricevuto nessun incarico dalla commissione, perché lo Stato dovrebbe ancora pagarlo?». Nel ddl si delineano ipotesi di esclusione della responsabilità erariale dei dirigenti. «Finora abbiamo caricato molto sulla responsabilità dei dirigenti: è calata la corruzione? No. E’ aumentato l’immobilismo? Sì. Dobbiamo sbloccare la situazione». La quota dei dirigenti assunti dall’esterno nel decreto P.a. sale dal 10% al 30%. Non è contraddittorio? «La norma serve a superare la fase transitoria del blocco delle assunzioni. Quando tutto andrà a regime, la chiamata esterna sarà l’eccezione». Come procederà il riordino delle partecipazioni pubbliche? «Cottarelli sta lavorando per trovare il miglior criterio aggregativo delle società partecipate a livello di capitale, mentre il tavolo presso gli Affari regionali sta ascoltando Comuni e Regioni per la migliore distribuzione delle funzioni. A fine luglio per la prima volta avremo un piano di riordino. Un principio varrà su tutti: la politica dovrà uscire dalle partecipate». Sui decreti attuativi: c’è o no una norma che prevede il potere sostitutivo del presidente del Consiglio non solo in caso di mancato concerto tra ministeri, ma anche quando è il singolo ministero a tardare nell’emanare l’atto? «C’è, eccome».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *