Precari della p.a. Il servizio conta

Fonte: Italia Oggi

Discriminati gli stabilizzati della pubblica amministrazione.
È sproporzionata, infatti, la normativa italiana laddove ha escluso del tutto la possibilità di valutare i periodi di servizio svolti a termine ai fini di inquadramento e retribuzione.
Lo stabilisce una sentenza emessa ieri dalla Corte di giustizia europea alle cause riunite C-302/11 e C-305/11, relative alla procedura di stabilizzazione dei precari del pubblico impiego della Finanziaria 2007 (legge n. 296/2006).
L’ultima parola, tuttavia, spetta al Consiglio di stato, al quale la corte Ue rimette comunque la verifica della sussistenza di «ragioni oggettive» che possano giustificare la differenza di trattamento.
In realtà, ciò che rileva la Corte Ue è la paradossale situazione della normativa italiana per cui, da una parte, ha riconosciuto anzi subordinato la stabilizzazione all’esperienza acquisita dal lavoratore non stabile presso il datore di lavoro (cioè una pubblica amministrazione), e dall’altra non ha tenuto conto della stessa (esperienza) ai fini dell’inquadramento retributivo.
Tuttavia, spetta al giudice che ha effettuato il rinvio alla Corte di giustizia (il Consiglio di stato) stabilire se le dipendenti ricorrenti, allorché esercitavano le loro funzioni nell’ambito di un contratto a termine, si trovassero in una situazione comparabile a quella dei dipendenti di ruolo assunti a tempo indeterminato.
La Corte Ue ricorda che può esistere una ragione oggettiva che giustifica la differenza di trattamento, però in un contesto particolare e in presenza di elementi precisi e concreti risultanti dalla natura particolare delle mansioni.
La disparità di trattamento cioè deve fondarsi su criteri oggettivi e trasparenti, che consentano di verificare che risponde a un reale bisogno ed è idonea e necessaria al conseguimento dell’obiettivo perseguito.
Ad ogni modo, precisa la Corte, il semplice fatto che il lavoratore a tempo determinato abbia compiuto periodi di servizio sul fondamento di un contratto a termine non può configurare una ragione oggettiva.
Mentre l’obiettivo fatto valere dal governo italiano di evitare le discriminazioni alla rovescia nei confronti dei dipendenti di ruolo assunti mediante concorso pubblico potrebbe costituire una «ragione oggettiva». Ma l’ultima parola spetta al giudice del rinvio che deve verificare se sussistono «ragioni oggettive» che giustificano la differenza di trattamento.

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