Licenziamenti pubblici, il governo si divide

Fonte: Corriere della sera

«Mi auguro che qualcosa di simile a quello che abbiamo fatto per i dipendenti privati relativamente alla possibilità di licenziare sia inserito nella delega per i dipendenti pubblici». Elsa Fornero parla agli studenti di Economia dell’Università di Torino, la sua facoltà. Ma il tono non è accademico, il ministro del Welfare non torna a fare la professoressa per un giorno. Anzi. Premette che «quello dei dipendenti pubblici non è un mercato», garantisce che «con il ministro della Pubblica amministrazione stiamo lavorando insieme». Ma il messaggio che spedisce da quell’aula magna piena di studenti è chiaro, politico, anche un po’ ruvido: «Non è possibile che diciamo certe cose sul privato e non le applichiamo sul pubblico». Le sue parole rimbalzano subito a Roma, al ministero della Pubblica amministrazione, dove vengono lette con una certa sorpresa e anche un po’ di fastidio. La replica ufficiale di Filippo Patroni Griffi è un gelido comunicato di una riga e mezza, messo giù a caratteri piccoli piccoli: «Il tema è già nel testo predisposto per la legge delega. A questo punto ritengo opportuno approfondire alcuni aspetti tecnici in Consiglio dei ministri». Uno pari, palla al centro, ed ecco un nuovo capitolo nei rapporti difficili tra i due ministri che sul tema hanno idee evidentemente diverse. La riforma del lavoro quella che modifica l’articolo 18 ed ha appena avuto il suo primo sì al Senato non si applica ai dipendenti pubblici. O meglio, così ha deciso il governo mettendo fine ai dubbi interpretativi che già avevano fatto discutere a suo tempo i due ministri. Dice però il testo all’esame dell’aula di Palazzo Madama che il pubblico impiego va armonizzato alle nuove regole, e quindi serve una riforma bis affidata proprio al ministro Patroni Griffi. Il disegno di legge era annunciato per il Consiglio dei ministri di oggi ma dovrebbe slittare almeno alla prossima settimana. Uno dei nodi è proprio quello dei licenziamenti. Qualche settimana fa Patroni Griffi aveva firmato un’intesa con i sindacati che prevedeva per il dipendente pubblico, in caso di licenziamento disciplinare illegittimo, il reintegro e non l’indennizzo economico. Una frenata netta rispetto al testo Fornero valido per il settore privato. E infatti il ministro della Pubblica amministrazione è stato accusato dal Pdl di aver ceduto troppo ai sindacati. Non è un mistero che Patroni Griffi, anche per condurre in porto la riforma, voglia ricucire con i sindacati e con il settore del pubblico impiego in generale dopo il clima di guerra dell’era Brunetta, con i tornelli e le altre iniziative anti fannulloni. Ma dopo quelle polemiche è stato costretto ad accelerare di nuovo un po’. E sui licenziamenti ha inserito nella bozza della riforma una formula neutra, che sostanzialmente rimette la palla al Parlamento. Una linea ancora troppo morbida, secondo la responsabile del Welfare che da Torino l’ha voluto incalzare di nuovo. Anche se c’è chi legge in quelle parole della Fornero il timore di essere lasciata sola nella battaglia sul mercato del lavoro. In ogni caso il suo ragionamento suscita la reazione compatta dei sindacati. «Non ha più chiaro il nome del suo ministero: è quello del Lavoro non certo dei licenziamenti», dice Michele Gentile, responsabile settori pubblici della Cgil. «Non si capisce proprio aggiunge il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni questo furore ideologico, non abbiamo bisogno di interpretazioni personali». Mentre dalla Uil il segretario confederale Paolo Pirani dice che «l’equiparazione tra pubblico e privato è giusta ma deve essere applicata sui rinnovi contrattuali». La politica, invece, si divide. L’ex ministro Cesare Damiano (Pd) dice che «così Fornero causa altra angosce ai lavoratori», Antonio Di Pietro avverte che «non è con i licenziamenti che si risolleva l’Italia». La pensa diversamente il finiano Benedetto Della Vedova: «Anche per il mercato del lavoro deve valere il principio dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Sia per i licenziamenti disciplinari che per quelli economici».

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