In arrivo il turnover per 41mila manager della Pa

Fonte: Il Sole 24 Ore

Una gara pubblica ogni tre anni – oppure ogni sei per i più “fortunati” – per ottenere gli incarichi, valutazioni basate su requisiti, parametri standard e obiettivi e mobilità più semplice fra le diverse amministrazioni e fra la Pa e il mondo privato. Suona così la descrizione della vita futura del dirigente pubblico, prospettata dalla delegasulla riforma della Pubblica amministrazione che dopo una navigazione parlamentare non proprio fulminea arriva domani al primo voto decisivo nell’Aula del Senato. Per rispettare il calendario governativo, che prevederebbe approvazione finale e primi decreti attuativi entro l’estate, bisognerà accelerare parecchio, perché anche la Camera vorrà ovviamente dire la sua e una terza lettura a Palazzo Madama è quasi scontata. In ogni caso, il testo che uscirà in settimana dal Senato indica in modo preciso la direzione che governo e Parlamento vogliono far imboccare alla riforma della Pa, a partire dal tema più delicato dal punto di vista politico: le nuove regole per 41.500 dirigenti pubblici italiani.

Gli obiettivi

Le parole d’ordine evocano «mobilità» e «merito», come accade per ogni riforma della Pubblica amministrazione che si rispetti. Sta di fatto, però, che i tentativi portati avanti finora, compresi quelli più “aggressivi” previsti dalla riforma Brunetta, non sono andati a segno. Al punto che il riassunto più efficace dei «nodi irrisolti» della dirigenza pubblica si legge nell’ultimo rapporto della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica: «Un idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale, presupposto per la corresponsione della retribuzione di risultato, non è mai entrato a regime», scrivono i magistrati contabili, e nessun passo avanti è stato fatto nella ricerca dell’equilibrio fra «le esigenze di flessibilità organizzativa» e «l’effettiva autonomia gestionale dei dirigenti nei confronti degli organi politici». Tradotto, significa che i dirigenti, pur avendo pagato dazio per il congelamento di contratti e retribuzioni individuali, hanno continuato a ricevere i vecchi “premi” generalizzati a prescindere dai risultati raggiunti, e che il rapporto con la politica è tutt’altro che risolto.

Il ruolo unico

Proprio su questi due temi interviene il capitolo più discusso della riforma, quello che passa sotto l’etichetta di «ruolo unico» della dirigenza pubblica. Sul piano operativo, in realtà i «ruoli unici» sono tre, dedicati rispettivamente ai dirigenti statali, regionali e degli enti locali, ma nelle intenzioni della riforma le tre strade saranno disciplinate da regole identiche e dovranno avere molti incroci per permettere il passaggio da un settore all’altro. L’obiettivo, sul quale lo stesso ministro della Pa e della semplificazione, Marianna Madia, ha insistito più di una volta, è quello di creare il «dirigente della Repubblica», abbattendo le barriere che trasformano in compartimenti stagni i vari settori dell’amministrazione.

La valutazione periodica

Come ci si riesce? Il cardine del sistema pensato dal governo, e confermato nella sostanza dall’esame in commissione Affari costituzionali al Senato, è l’incarico triennale da ottenere con “gara” pubblica. Il nuovo sistema, se arriverà al traguardo, com’è ovvio interesserà per primi i 41.500 dirigenti di Stato, Regioni, sanità (non i medici) e degli enti locali, che transiteranno nei rispettivi ruoli unici e porteranno a scadenza gli incarichi annuali, ma poi entreranno nel sistema triennale assieme ai nuovi dirigenti reclutati con concorsi annuali. Con l’obiettivo, indicato espressamente dalla delega, di «graduale riduzione del numero dei dirigenti», nei settori in cui sarà necessario. In pratica, per ogni futuro incarico di vertice andranno pre-definiti i requisiti, e su questa base l’amministrazione lancerà una selezione pubblica: ogni candidato dovrà mettere sul piatto il proprio curriculum, una commissione nazionale (una per ciascuno dei tre ruoli) lo valuterà e proporrà una preselezione di candidati fra i quali l’amministrazione individuerà il prescelto. Se l’incarico dirigenziale è di livello inferiore, la commissione dovrà invece valutare ex post la «congruità» della scelta. In tutti i casi, una marcia in più nella valutazione dovrà essere garantita a chi ha in curriculum esperienze in più settori, compreso il privato. Il posto così ottenuto durerà tre anni, e potrà essere rinnovato una volta sola prima di doversi risottoporre alla selezione pubblica.

Il rischio «parcheggio»

Ad allarmare di più i diretti interessati è il parcheggio, necessariamente temporaneo, per chi rimarrà a secco di incarichi. In questi casi, i dirigenti sarebbero collocati «in disponibilità», mantenendo il trattamento economico fondamentale e la parte fissa della vecchia retribuzione, ma questa condizione non potrà durare in eterno e dopo «un determinato periodo» porterà alla decadenza dal ruolo unico. A decidere dopo quanti anni scatterà la tagliola saranno i decreti attuativi, ma è ovvio che sul tema si scalderanno i dibattiti più accesi. I nuovi ingressi Analoga la struttura che dovrebbe guidare i nuovi ingressi fra i dirigenti. La porta principale sarà aperta dal corso-concorso, deciso ogni anno sulla base del «fabbisogno minimo annuale del sistema amministrativo», che porterà i vincitori a un posto di funzionario per quattro anni, con obbligo di formazione, al termine dei quali si entrerà nel ruolo unico. In alternativa è previsto il concorso “puro”, anch’esso annuale, per ambire a un contratto a tempo determinato triennale, da stabilizzare dopo un esame di conferma (con «eventuale» dirottamento alla qualifica di funzionario per chi non supera quest’ultima prova). Tutto il sistema, come è evidente, poggia sull’obiettivo di censire (e premiare) i dirigenti più “mobili” ed “efficaci”, mentre fuori dai denti il timore dei diretti interessati è di finire sotto l’arbitrio della politica, se la flessibilità e il ritmo triennale delle verifiche le darà la possibilità di scegliere chi destinare al parcheggio posto a fianco dell’uscita dal sistema. Molto dipenderà dai decreti attuativi e, soprattutto, dalla volontà di mettere in piedi un sistema di valutazione davvero indipendente.

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