Contratti a termine flessibili per i giovani Lavoro part time prima della pensione

Fonte: Corriere della Sera

Subito il decreto legge per rivedere la riforma Fornero dell’estate scorsa, restituendo flessibilità ai contratti a termine.
E poi la vera fase due per provare a risollevare l’occupazione giovanile puntando prima di tutto sulla staffetta generazionale, il meccanismo che agevola l’uscita dal lavoro degli anziani in cambio dell’ingresso dei giovani e che potrebbe riguardare anche i dipendenti pubblici.
Aggiungendo gli incentivi per le imprese che assumono giovani, il credito d’imposta per sostenere le buste paga dei dipendenti a basso reddito, un minimo di flessibilità nell’altra riforma Fornero, quella delle pensioni, e la rivoluzione dei centri dell’impiego che dovrebbero agganciare il meccanismo (e i soldi) dell’Europa per la cosiddetta Youth Guarantee, progetto europeo mirato alla formazione e all’impiego degli under 25.
Il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, sta approfondendo il suo corposo dossier in vista dell’incontro di dopodomani con i sindacati e i rappresentanti delle imprese.
Alcuni passaggi sono ancora da valutare, restano molti nodi da sciogliere.
Anche perché se alcune misure, poche, sono a costo zero, la maggior parte ha bisogno di una copertura.
Per questo il grado di avanzamento di ogni singolo capitolo dipende dalla decisione che l’Unione europea prenderà a breve sulla golden rule, la possibilità di non tener conto degli investimenti pubblici produttivi, come i fondi per l’occupazione, dal calcolo del deficit.

CONTRATTI A TERMINE
È il primo pezzetto dell’intervento, da fare con un decreto legge che potrebbe arrivare già questa settimana.
Con modifiche «limitate e puntuali», come ha annunciato Giovannini in Parlamento, che riguarderanno i contratti a termine, resi meno vantaggiosi dalla riforma Fornero che voleva combattere la cosiddetta «flessibilità cattiva».
Cosa cambierà? Saranno ridotti gli intervalli obbligatori tra un contratto a termine e l’altro che la Fornero aveva portato a 60 giorni per quelli fino a sei mesi, e 90 giorni per quelli più lunghi.
Difficile che si torni pari pari alla situazione di prima: rispettivamente 10 e 20 giorni.
Il punto di caduta finale potrebbe essere leggermente più alto (20 e 30) ma molto dipenderà proprio dal confronto con le parti sociali.
Potrebbe essere allungata la durata del contratto a termine per il quale l’azienda non è tenuta a indicare una causale e che oggi non può superare l’anno.
Mentre si studia la sospensione, forse per un anno, del contributo aggiuntivo che l’azienda deve pagare su tutti i contratti flessibili, lasciando però intatti gli sgravi previsti in caso di assunzione a tempo indeterminato.
Dovrebbe essere poi semplificato l’apprendistato professionalizzante, ancora poco utilizzato per i tanti vincoli fissati dalla legge.

STAFFETTA GENERAZIONALE
Nonostante le osservazioni e le critiche di questi giorni, il ministro del Lavoro va avanti e conferma come questo sia un punto centrale nel suo progetto.
Anche perché ci sono diversi modi per realizzare il graduale passaggio di consegne tra i lavoratori anziani e quelli giovani.
Il primo modello è quello che utilizza il part time.
Un dipendente vicino alla pensione accetta di lavorare meno ore, con uno stipendio più basso, fino alla fine della carriera.
In cambio la sua azienda assume un giovane con un contratto a tempo indeterminato oppure due giovani con un contratto a termine.
Un intervento del genere costa a spanne un miliardo di euro per 100 mila assunzioni.
Perché lo Stato dovrebbe pagare una parte dei contributi del dipendente anziano che altrimenti, accettando il part time, avrebbe in futuro una pensione più bassa.
L’altro modello, invece, prevede che il lavoratore anziano non vada in part time ma in pensione prima della scadenza naturale.
E in questo caso bisogna intervenire sull’altra riforma Fornero, proprio quella che ha alzato l’età pensionabile.

PENSIONI FLESSIBILI
Giovannini ha detto in Parlamento che l’idea è consentire un’uscita anticipata a patto di penalizzazioni, cioè con un assegno più basso.
Il punto di partenza è la proposta presentata all’inizio della legislatura da Cesare Damiano e Pier Paolo Baretta, poi diventati rispettivamente per il Pd presidente della commissione Lavoro della Camera e sottosegretario all’Economia.
Considerando come età del ritiro i 66 anni e tre mesi fissati per il 2013, quel testo lascia la scelta al lavoratore: con 35 anni di contributi potrebbe andare in pensione tra i 62 e i 65 anni accettando un taglio dell’assegno fino all’8%.
I numeri sono ancora da vedere, la riduzione potrebbe essere più marcata.
In realtà quel disegno di legge prevede anche l’altra faccia della medaglia.
Per chi decide di restare oltre i 66 anni ci sarebbe non un taglio ma un aumento della pensione, sempre fino all’8%.
Ma per questo non sembra esserci spazio.

STAFFETTA PUBBLICA
Il meccanismo della staffetta il governo lo vorrebbe applicare anche alla pubblica amministrazione.
Anche perché sarebbe a costo zero.
Quando a ritirarsi è un dipendente pubblico lo Stato risparmia visto che sia lo stipendio che la pensione sono a suo carico ma l’assegno previdenziale è più basso della busta paga in media di 8 mila euro l’anno.
Così il pensionamento di tre dipendenti pubblici fa risparmiare allo Stato 24 mila euro l’anno.
Proprio quanto costerebbe assumere un giovane.
I conti li ha fatti Oriano Giovanelli, presidente del Forum del Pd per la pubblica amministrazione: «Nel giro di cinque anni – spiega – sarebbe possibile ridurre i dipendenti dai 3 milioni e 250 mila di adesso a 3 milioni».
E, quindi, avere i soldi per assumere circa 80 mila giovani.
Il tema è all’attenzione di Filippo Patroni Griffi, che l’aveva studiato da ministro del governo Monti e adesso è direttamente a Palazzo Chigi, nel ruolo chiave di sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Ci sono due problemi, però.
Sui posti eventualmente liberati dai pensionati ci sono gli occhi dei 110 mila precari della pubblica amministrazione, che il governo ha appena prorogato fino a dicembre, e anche di quelle 70 mila persone che hanno vinto un concorso pubblico ma non sono state ancora assunte tra blocco del turnover e spending review.

SGRAVI FISCALI
È il capitolo più difficile ma anche quello che potrebbe dare i risultati più consistenti.
La ricetta del Pdl, zero tasse e contributi sui giovani nuovi assunti, non è semplice da realizzare.
Costerebbe, almeno in prospettiva.
Ma sgravi e incentivi ci saranno anche se si dovrà trovare l’equilibrio con un’altra misura, cara a Giovannini, e non a caso prevista dal comitato dei saggi nominati da Napolitano.
È il credito d’imposta per i lavoratori a basso reddito, pensato per sostenerne il potere d’acquisto.
Applicando il modello francese, dove il taglio delle tasse scatta sotto i 17 mila euro lordi l’anno, costerebbe più di un miliardo.

CENTRI IMPIEGO
C’è poi l’attuazione della Youth Guarantee, progetto europeo che mette sul piatto 6 miliardi di euro per 27 Paesi con (l’ambizioso) obiettivo di garantire a ogni giovane, entro quattro mesi dal termine degli studi, un lavoro o almeno un programma di formazione.
Tema carissimo a Giovannini che da presidente dell’Istat ha parlato più volte dei neet, i giovani che non studiano e non lavorano.
Per fare questo il governo vuole rivoluzionare i centri per l’impiego che oggi fanno soprattutto orientamento e poco inserimento.
Il modello viene dal Nord Europa, soprattutto dalla Svezia, dove ha dato buoni risultati.
Resta da vedere se funzionerà anche da noi.
E, soprattutto, se nel frattempo sarà girato il vento della recessione.
Visto che lo stesso Giovannini, in Parlamento, ha messo le mani avanti: «È irrealistico pensare che interventi di natura normativa, fiscale e contributiva possano da soli riassorbire la disoccupazione».

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