Casella e-mail del dipendente: se c’e’ la password l’intrusione e’ reato

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13057/2016, ha stabilito che la presenza della password nella casella e-mail rivela la chiara volontà dell’utente di farne uno spazio a sé riservato, sicché l’accesso abusivo di terzi in tale casella configura il reato di cui all’art. 615-ter del codice penale. E ciò anche se si tratta di un sistema informatico aziendale con caselle dedicate ai singoli lavoratori (munite appunto di password).

La Suprema Corte ha confermato la condanna a sei mesi per un dipendente pubblico che aveva effettuato ripetuti accessi nella casella di posta elettronica di un collega del medesimo ufficio e, dopo aver preso visione di diversi documenti, ne aveva scaricati alcuni.

La Corte ha chiarito che “la casella mail rappresenta, inequivocabilmente, un sistema informatico rilevante ai sensi dell’art. 615/ter cod. pen.”, sottolineando che con questa espressione “il legislatore ha fatto riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza”.

La Corte ha anche precisato che “i sistemi informatici rappresentano un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’art. 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615”; pertanto, in un sistema informatico pubblico ove siano attivate caselle di posta elettronica protette da password personalizzate, “quelle ‘caselle’ rappresentano il domicilio informatico del dipendente, sicché l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’art. 615/ter cod. pen.”.

Decisiva è dunque la presenza della password, la quale dimostra che a quella casella è collegato uno ius excludendi da parte del lavoratore, di cui anche i superiori gerarchici devono tener conto (Cass., V Sez. penale, 31 marzo 2016, n. 13057).

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *