Caos stipendi nei comuni

Fonte: Italia Oggi

C’è grande incertezza, fra i comuni, sulla portata dell’art. 5, comma 10, del dl 95/2012. Tale disposizione impone a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 del dlgs 165/2001 (ivi compresi, quindi, gli enti locali) di stipulare convenzioni con il ministero dell’economia e delle finanze per la fruizione dei servizi connessi al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, ovvero, in alternativa, di utilizzare i parametri di qualità e di prezzo stabiliti dallo stesso Mef per l’acquisizione dei medesimi servizi sul mercato di riferimento. Ove non si ricorra alle convenzioni, il mancato rispetto di tali standard determina nullità dei contratti, illecito disciplinare e responsabilità erariale. Per i contratti già in essere, inoltre, è previsto un obbligo di rinegoziazione che garantisca un abbattimento degli attuali costi non inferiore al 15%.
A ben vedere, la formulazione di tali norme non è chiarissima: i servizi cui esse fanno riferimento, infatti, sono individuati mediante un rinvio ad altre precedenti disposizioni (art. 1, comma 447, della l. 296/2006 e art. 2, comma 197, della legge 191/2009) che riguardavano le sole amministrazioni statali. Ma al di là di tali aspetti formali, la questione è di merito. La «Convenzione per l’utilizzo dei servizi stipendiali», resa disponibile sul sito del Mef nello scorso mese di luglio, infatti, non contempla tutta una serie di servizi indispensabili che per gli enti locali sono gestiti in forma integrata con quelli (gestione dipendenti a tempo determinato e indeterminato, cedolini paga, versamenti contributivi ed erariali, altri adempimenti contributivi, fiscali e normativi, cessioni del quinto, riscatti e ricongiunzioni, monitoraggio assenze mensile, dichiarativi annuali) prettamente riferiti alla corresponsione degli emolumenti. I servizi non inclusi riguardano tutte le attività svolte tipicamente dagli uffici del personale degli enti, o, presso quelli più piccoli, da esperti/service esterni (per esempio, immissione di giustificativi di assenza, aggiornamenti anagrafici, comunicazione ai centri per l’impiego).
Rimangono fuori, inoltre, tutte le attività relative alle tipologie di reddito non elaborate dal Mef quali redditi assimilati, autonomi e diversi (dipendenti altra p.a., amministratori locali, collaboratori coordinati e continuativi, Lsu cantieri di lavoro, borse di lavoro, borse di studio, forestali, professionisti, indennità di esproprio, contributi ad enti e associazioni ecc.). Un problema ulteriore nasce dal fatto che, nella maggior parte dei casi, gli enti hanno acquistato sul mercato un «pacchetto» onnicomprensivo, il che rende assai complessa la comparazione fra i relativi prezzi e quelli fissati dal Mef. Non è chiaro, inoltre, come si possa garantire il collegamento fra il programma paghe del Mef e i diversi programmi di contabilità in uso presso i singoli comuni, né è precisato come avverrà l’interscambio di dati fra il nuovo sistema e gli attuali rilevatori (che sono centinaia, di cui alcuni fuori commercio).
Più in generale, l’adesione alla convenzione imporrebbe di adeguare la struttura procedurale di ogni ente ai tempi e modi per l’invio dei dati utili all’elaborazione delle retribuzioni, e per la ricezione degli elaborati imposti dal Mef, con complessità e costi tutti da stimare e tutti a carico delle singole amministrazioni.
Infine, per la gestione del sistema, la convezione quadro richiede la nomina, da parte di ciascuna amministrazione, di un referente tecnico-informatico e di un referente tecnico amministrativo. È evidente che molti enti, e specialmente i piccoli comuni, sono sprovvisti di simili figure, in quanto si avvalgono perlopiù di consulenti esterni, ne potrebbero agevolmente procurarsele, visti i limiti al turnover e alle spese per la formazione specialistica.

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