Ape, anticipo fino all’85% della pensione

Fonte: Il Sole 24 Ore

La partita sull’Anticipo finanziario a garanzia pensionistica, ormai conosciuto come Ape, non si è ancora conclusa. E si continua a giocare all’interno di un perimetro che, con il trascorrere dei giorni, diventa sempre più ridotto. Ieri dal Governo sono usciti i primi particolari dell’atteso Dpcm, da varare entro gennaio. Ne risulta che per accedere dal prossimo mese di maggio al cosiddetto prestito bancario “ponte”, con un anticipo di un anno non si potrà chiedere un Ape superiore al 95% della pensione mensile certificata dall’Inps. E che il tetto scenderà al 90% con un’uscita anticipata di 2 anni e all’85% nel caso di un anticipo di 3 anni.

Naturalmente i lavoratori interessati (con 63 anni e 20 di contributi minimi) potranno chiedere anche meno di anticipo sulla pensione futura, soprattutto se lo fanno mantenendo un impiego a tempo determinato oppure se optassero per l’accoppiata Ape-Rita, utilizzando cioè la totalità o una parte del capitale accumulato nel fondo pensione complementare per ottenere una rendita mensile negli anni che mancano alla pensione di vecchiaia. L’obiettivo, in entrambi i casi, è quello di abbattere il più possibile l’onere del rimborso ventennale che scatta con la pensione, sapendo che l’incidenza media annua sarà del 4,6-4,7 per cento.

La decisione di mettere un limite alla richiesta di prestito e di non prevedere la tredicesima (che peraltro non è prevista neanche nell’Ape social nè nella Naspi) – hanno spiegato ieri dal team del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, è stata dovuta alla necessità di non far salire troppo la rata da pagare una volta in pensione. «Avremmo voluto tenere più basso il premio assicurativo – hanno spiegato – ma per farlo avremmo dovuto ridurre la durata del prestito, magari a 10 anni. E a questo punto sarebbe salita troppo la rata di restituzione». Vale ricordare che la norma sull’Ape prevista in manovra prevede un altro margine di sicurezza: la pensione, al netto del rimborso Ape che scatta dopo gli anni di anticipo con lo sconto del 50% in termini di detrazione secca su interessi e assicurazione, non potrà in ogni caso scendere sotto la soglia di 1,4 volte l’assegno sociale.

Ma proprio mentre il Governo precisa i paletti che delimiteranno il territorio della nuova flessibilità in uscita seppure di tipo “extra-previdenziale”, in Parlamento cresce il pressing per allargare il perimetro di riferimento facendo leva su possibili correzioni al Ddl di Bilancio all’esame della Camera, dove è stato inserito il pacchetto previdenziale che comprende anche l’Ape. Dalla commissione Lavoro, presieduta dal Pd Cesare Damiano, è già messo nero su bianco (e approvato) un emendamento alla manovra per far scendere da 36 a 35 anni la soglia di accesso all’Ape sociale per i lavoratori impiegati in attività gravose. E la stessa commissione vede di buon occhio un arricchimento dell’elenco dei lavori faticosi ai quali garantire l’Anticipo pensionistico a costo zero. Con il chiaro obiettivo di allargare il più possibile il bacino dei potenziali beneficiari sul quale, contemporaneamente, i tecnici del Servizio Bilancio di Montecitorio chiedono al Governo di fare chiarezza per poter valutare con precisione il reale impatto contabile dell’Ape. Secondo gli esperti della Camera la platea dei beneficiari non è affatto chiara. Altro tema che sarà quasi certamente affrontato è il probabile rifinanziamento della cosiddetta “opzione donna”, ovvero la possibilità per alcune lavoratrici di andare in pensione prima (con 57-58 anni e 35 di contributi) con un ricalcolo contributivo.

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