Accesso agli atti del protocollo generale da parte di un consigliere comunale

Il Servizio di consulenza della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia risponde alla domanda posta da un comune in merito ad una richiesta di accesso agli atti formulata da un consigliere comunale. In particolare, un amministratore locale ha chiesto che gli venga fornito giornalmente l’elenco del protocollo generale della posta in arrivo e in partenza al fine di individuare gli atti di interesse dei quali successivamente chiedere eventualmente estrazione di copia.

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali è disciplinato all’articolo 43 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il quale, al comma 2, riconosce a questi il diritto di ottenere dagli uffici comunali, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato.

Si osserva, in via generale, che la giurisprudenza ha costantemente sottolineato che le informazioni acquisibili devono considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, del munus di cui ciascun consigliere comunale è individualmente investito, in quanto membro del consiglio. Ne deriva che tale munus comprende la possibilità per ogni consigliere di compiere, attraverso la visione dei provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio.[1]

Il generale diritto di accesso del consigliere comunale è quindi esercitato riguardo ai dati utili per l’esercizio del mandato e fornisce una veste particolarmente qualificata all’interesse all’accesso del titolare di tale funzione pubblica, legittimandolo all’esame e all’estrazione di copia dei documenti che contengono le predette notizie e informazioni.[2]

Sul consigliere comunale non può gravare alcun onere di motivare le proprie richieste di informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiedere le specifiche ragioni sottese all’istanza di accesso, né a compiere alcuna valutazione circa l’effettiva utilità della documentazione richiesta ai fini dell’esercizio del mandato. A tale riguardo il Ministero dell’Interno ha evidenziato che ‘diversamente opinando, la P.A. assumerebbe il ruolo di arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un Consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato’.[3]

Il diritto di accesso spettante agli amministratori locali, pur essendo più ampio di quello riconosciuto alla generalità dei cittadini ai sensi del Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, incontra il divieto di usare i documenti per fini privati o comunque diversi da quelli istituzionali, in quanto i dati acquisiti in virtù della carica ricoperta devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità collegate all’esercizio del mandato (presentazione di mozioni, interpellanze, espletamento di attività di controllo politico-amministrativo ecc.). Il diritto di accesso, inoltre, non deve essere emulativo, in quanto riferito ad atti palesemente inutili ai fini dell’espletamento del mandato.[4] Ancora è stato affermato che le richieste di accesso devono essere esercitate con modalità e forme tali da evitare intralci all’ordinario svolgimento dell’attività degli Uffici. Su questa linea la giurisprudenza ha specificato che: ‘Il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico’.[5]

Con riferimento specifico alla richiesta di accesso al protocollo generale dell’Ente si è espresso il T.A.R. Sardegna[6] affermando che ‘deve essere accolta la richiesta dei consiglieri comunali di prendere visione del protocollo generale […] senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i Consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267’.[7]

Anche il Ministero dell’Interno, nell’affrontare una questione analoga a quella in esame, si è espresso in termini favorevoli all’accesso rilevando, in particolare, che: ‘Superando le precedenti decisioni contrarie, fatta salva la necessità di non aggravare la funzionalità amministrativa dell’Ente con richieste emulative, la giurisprudenza (cfr. TAR Sardegna n. 29/2007 e n. 1782/2004, TAR Lombardia, Brescia, n. 362/2005, TAR Campania, Salerno, n. 26/2005), è, infatti, oggi orientata nel ritenere illegittimo il diniego opposto dall’amministrazione di prendere visione del protocollo generale e di quello riservato del Sindaco, comprensivo sia della posta in arrivo che di quella in uscita. […] Pertanto, si ritiene che la previa visione dei vari protocolli […] sia necessaria per poter individuare gli estremi degli atti sui quali si andrà ad esercitare l’accesso vero e proprio’.[8] In altra occasione il Ministero dell’Interno,[9] in relazione alla richiesta dei consiglieri di trasmissione di copia del registro di protocollo con cadenza mensile, nel ribadire i medesimi concetti, ha fatto, altresì, proprie certe considerazioni espresse dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui ‘gli unici limiti all’esercizio del diritto di accesso dei consiglieri comunali si rinvengono, per un verso, nel fatto che esso debba avvenire in modo da comportare il minor aggravio possibile per gli uffici comunali e, per altro verso, che non debba sostanziarsi in richieste assolutamente generiche, fermo restando che la sussistenza di tali caratteri debba essere attentamente vagliata in concreto al fine di non introdurre surrettiziamente inammissibili limitazioni al diritto stesso’.[10] Premesso un tanto, il Ministero dell’Interno prosegue affermando che ‘l’ente locale, dunque, nell’ambito della propria autonomia, potrebbe dotarsi di ancor più specifica normativa regolamentare, mediante la quale disciplinare le modalità di esercizio del diritto in termini tali da renderle compatibili con il regolare svolgimento dell’attività degli uffici’.[11]

 

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Arturo Bianco
Consulente amministrazioni regionali e locali.
Alessandro Boscati
Professore ordinario di Diritto del lavoro Università statale di Milano.
Renato Ruffini
Professore di Economia aziendale Università C. Cattaneo Liuc.

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Arturo Bianco, Alessandro Boscati, Renato Ruffini, 2017, Maggioli Editore
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[1] Si veda, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 29 agosto 2011, n. 4829.

[2] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, decisioni 21 febbraio 1994, n. 119, 8 settembre 1994, n. 976, 26 settembre 2000, n. 5109, che precisano che la facoltà di esaminare ed estrarre copia dei documenti spetta ‘a qualunque cittadino che vanti un proprio interesse qualificato e sono, a maggior ragione, contenute nella più ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione spettante ratione officii al consigliere comunale’. Tale principio è stato successivamente ripreso e confermato dal T.A.R. Piemonte, sezione II, nella sentenza del 31 luglio 2009, n. 5879.

[3] Ministero dell’Interno, parere del 18 maggio 2017.

[4] Tra le altre, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sentenza del 23 settembre 2014, n. 2363.

[5] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, sentenza del 13 novembre 2012, n. 2040.

[6] T.A.R. Sardegna, sez. II, sentenza del 12 gennaio 2007, n. 29.

[7] Nello stesso senso si veda, anche, T.A.R. Emilia Romana, Parma, sentenza del 26 gennaio 2006, n. 28 ove si afferma: ‘Pertanto, deve essere annullato il diniego ad una domanda di accesso proposta da un consigliere comunale al protocollo del Comune per conoscere i documenti in entrata e in uscita. Naturalmente l’accesso al protocollo comunale non deve creare intralci all’attività degli uffici, onde spetta all’amministrazione determinare le giornate (almeno una al mese) e la fascia oraria in cui il consigliere comunale potrà periodicamente prenderne visione, ed eventualmente estrarne copia’. Per un excursus dei precedenti orientamenti giurisprudenziali, in senso negativo, si veda il parere del Ministero dell’Interno del 17 novembre 2005.

[8] Ministero dell’Interno, parere del 26 ottobre 2016.

[9] Ministero dell’Interno, parere del 1 giugno 2011.

[10] T.A.R. Puglia, sentenza del 21 gennaio 2011, n. 115.

[11] Tenuto, altresì, conto dell’eventuale possibilità di accesso diretto del consigliere comunale al protocollo informatico. Si veda, tra gli altri, al riguardo, il parere espresso dalla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi del 3 febbraio 2009 ove si afferma che: ‘Il ricorso a supporti magnetici o l’accesso diretto al sistema informatico interno dell’Ente, ove operante, sono strumenti di accesso certamente consentiti al consigliere comunale che favorirebbero la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa’.

 

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